La Cassazione ha confermato la condanna per il nigeriano, ma solo in riferimento all’omicidio. Annullata (per il momento) la sentenza d’appello sul reato di violenza sessuale verso la giovane.
Il 31 gennaio 2018 a Pollenza, provincia di Macerata, andava in scena il terribile omicidio del pusher nigeriano Innocent Oseghale ai danni della 18enne Pamela Mastropietro. La ragazza fu uccisa con due coltellate e poi fu fatta a pezzi dal nigeriano. La Cassazione ieri ha confermato la condanna dell’uomo per l’omicidio di Pamela.
Ma i giudici (al momento) hanno disposto un processo bis sulla violenza sessuale, essendo le condizioni del cadavere della ragazza in condizioni non facilmente “leggibili”, dopo il sezionamento e il lavaggio con la varechina.
Quindi, è stata annullata la sentenza d’appello sul reato di violenza sessuale verso Pamela.
La pena di Oseghale potrebbe ridursi. L’uomo era stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi. Ma nel caso in cui la violenza sessuale non venisse riconosciuta nel processo bis, la pena potrebbe ridursi a “soli” 28 anni.
Oseghale condannato in Cassazione per l’omicidio di Pamela. Per il reato di violenza sessuale, invece, la sentenza d’appello è stata al momento annullata
Per il 32enne pusher nigeriano, dunque, la pena potrebbe essere ridotta. La condanna definitiva per l’uomo si avrà, quindi, solo in seguito alla disposizione di nuovo processo d’appello sulla violenza sessuale. La Suprema Corte ha disposto che il processo si tenga a Perugia.
Disperata la mamma di Pamela: “Sono quattro anni che aspetto giustizia”. Lo zio della ragazza, il legale Valerio Verni, invece, ha spiegato: “L’annullamento rischia di portare ad una riduzione della pena. La madre di Pamela è amareggiata, per lei è un supplizio. Speravamo di chiudere questa vicenda oggi, ma la decisione dei giudici ci lascia l’amaro in bocca. Dovremmo affrontare un nuovo processo con il rischio di una riduzione della pena. Noi siamo convinti che Oseghale sia l’autore anche dello stupro”.
Lo zio ha continuato: “Se la procura di Macerata avesse messo maggiormente a fuoco, nel processo di primo grado, le patologie psichiatriche di cui purtroppo era affetta Pamela forse saremmo arrivati al vaglio della Cassazione più blindati: questo prologo di processo rappresenta per noi una dolorosa pena”.