Prima della guerra in Ucraina, c’è stato l’Afghanistan e prima ancora di Kabul la Birmania. Nel giro di un anno tre popoli hanno dovuto affrontare cambiamenti radicali, violenza e soprusi e se ancora qualcosa si legge sulle proteste delle giovani donne afghane contro i talebani, poco o niente si sa del Myanmar. Ma facciamo un breve ripasso.
Il 1 febbraio 2021 l’esercito birmano ha dichiarato un colpo di Stato prendendo di fatto il potere nel Paese. Min Aung Hlaing, leader delle forze armate, ha arrestato tutti gli avversari politici del partito di maggioranza, assumendo il ruolo di capo di governo e deponendo Aung San Suu Kyi, anche lei fatta prigioniera. Secondo Hlaing, il golpe sarebbe la risposta dell’esercito alla presunta frode elettorale del novembre 2020: in quell’occasione il partito di San Suu Kyi aveva vinto le elezioni contro il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto, invece, dai militari.
L’anniversario del golpe, complice anche il crescente clima teso tra la comunità internazionale e Putin, sembra esser passato in sordina. Eppure in Birmania le persone continuano a morire, ad essere imprigionate, e vivere in condizioni di sopravvivenza sotto un regime dittatoriale. Malgrado infatti il generale Hlaing abbia promesso un processo di democratizzazione, i dissidenti e gli oppositori politici continuano ad essere arrestati.
La Birmania oggi
In un articolo di Skytg24, pubblicato ad un anno dal golpe, l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp) ha reso noto il possibile numero di vittime e prigionieri dall’inizio del regime di Hlaing, ma la stessa associazione avverte che la stima dei morti potrebbe essere anche più elevata. In un anno esatto sono stati arrestati almeno 11.838 birmani: 8.835 sono ancora detenuti e 661 sono state condannati al carcere, tra questi spicca soprattutto il nome della leader Aung San Suu Kyi.
Sono state condannate a morte anche 45 persone, tra cui due minorenni, anche se fino a due mesi fa nessuna di queste è stata ancora giustiziata. Non per questo però il governo del generale Hlaing non ha comunque provocato oltre 1500 morti, portando la Birmania in una gravissima crisi politica, sociale ed economica.
Un capitolo a parte di questa storia va dedicato ai Rohingya un gruppo etnico, di religione islamica, che vive nel Nord del Myanmar al confine col il Bangladesh, a cui non è mai stata riconosciuta la cittadinanza birmana. Le deportazioni e i massacri sistematici compiuti dall’impunito esercito birmano – l’ultimo nel 2012 – hanno sempre tristemente accompagnato la loro stessa esistenza.
I Rohingya, infatti, sono una delle minoranze più perseguitate al mondo e il colpo di Stato non ha fatto altro che peggiorare le cose. Oltre 600.000 Rohingya intrappolati nel paese, sono confinati in campi profughi con cibo, assistenza sanitaria e istruzione per nulla adeguate e regolarmente vengono sottoposti alla violenza di stato. Quelli che invece sono riusciti ad attraversare il confine, verso i campi profughi in Bangladesh, hanno un accesso limitato all’assistenza sanitaria e risorse inadeguate per sostenere le centinaia di migliaia di persone che vivono lì.
La situazione è così precaria per i Rohingya, che Save the Children ha lanciato un appello: “Il 2021 è stato, fino ad ora, l’anno peggiore per i rifugiati a Cox’s Bazaar: un enorme incendio ha obbligato 70.000 rifugiati ad evacuare, e piogge alluvionali a fine luglio hanno colpito 121.000 individui, traumatizzando nuovamente persone che già sono dovute scappare da casa”.
La guerra civile degli attivisti
Ben presto le proteste in Birmania si sono trasformate in guerriglia urbana contro l’esercito. Gli attivisti dell’opposizione, vicino al partito di San Suu Kyi, si sono riuniti sotto la Campagna per la disobbedienza civile, contribuendo ad organizzare scioperi e proteste di massa contro il colpo di stato. I militari hanno risposto alle manifestazioni con cannoni ad acqua e proiettili di gomma.
Le milizie locali, le Forze di difesa popolare, hanno attaccato convogli militari e assassinato funzionari. Il governo ha compiuto violente rappresaglie contro i PDF, tra cui la tortura e l’uccisione di 40 civili nel luglio 2021 nella roccaforte dell’opposizione del distretto di Sagaing.
La situazione dei prigionieri politici però resta oscura e straziante. Proprio ieri Al Jazeera però è riuscita ad entrare in possesso di quattordici schizzi fatti uscire di nascosto dalla prigione di Insein in Myanmar, la prigione più famigerata del paese, dove la comunicazione con il mondo esterno è stata fortemente limitata. In uno di questi disegni, dozzine di uomini siedono stipati come bestie in un’unica stanza e piegati con le ginocchia unite. In un altro, i detenuti sono sdraiati schiena contro schiena sul pavimento: nei loro volti si può leggere tutto il dolore.