In meno di 100 anni la popolazione mondiale subirà una contrazione importante. La decrescita, però, non riguarderà tutti i Paesi. Quali sono quelli più esposti al rischio?
Siamo in tanti, non è una frase fatta, ma una semplice constatazione. Solo la pandemia era stata in grado di ridimensionare la portata demografica del nostro pianeta, per ripartire però una volta superata la fase acuta del contagio. Oggi nel mondo si contano 8 miliardi di persone, un dato davvero impressionante.
Tuttavia, siamo di fronte ad una “finta” crescita. Il Novecento ha meglio rappresentato la sensazione di sviluppo e benessere, tutto era un continuo divenire e progredire, ricco di speranza in correlazione al futuro. La diminuzione del tasso di mortalità di molti paesi, per i progressi della medicina moderna e per l’enorme incremento della produttività agricola, la rivoluzione verde, e il rispettivo boom economico ha fatto si che soprattutto in Occidente si registrasse, infatti, un aumento della popolazione.
Ma dal picco del 2,19% del 1963, il tasso di crescita sta, invece regolarmente diminuendo, soprattutto in Europa. Come spiegarci allora la crescita costante? Il Medio Oriente e l’Africa subsahariana, sono al momento le regioni che mantengono elevato il numero delle nascite, ma per ragioni differenti.
Non si parla, infatti, in questo caso di sviluppo economico e di una generale sensazione di benessere. L’assenza proprio di questi aspetti ha garantito un’alta natalità. Non ci sono campagne di informazione adeguate contro le gravidanze indesiderate, le donne non hanno la possibilità di emanciparsi economicamente e culturalmente nella maggior parte dei casi e la mancanza di una sanità efficace o preparata è incapace di fornire una corretta educazione sessuale.
Verso la fine del mondo?
Tutte queste variabili hanno fatto la differenza in Europa e negli Stati Uniti, ma non solo. Gli effetti negativi della globalizzazione, infatti, hanno reso inesistente un saldo mercato del lavoro, volto al ribasso in base alla peggior offerta lavorativa. Stipendi risicati, contratti inesistenti e lavori precari hanno inciso notevolmente sulle possibilità dei giovani di costruirsi una famiglia, a differenza di come hanno fatto i genitori alla loro età.
In meno di 100 anni, quindi, la popolazione mondiale subirà una contrazione importante. La decrescita, però, non riguarderà tutti i Paesi. Quali sono quelli più esposti al rischio?
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica ‘The Lancet’, più di 20 paesi, tra cui, Giappone, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Spagna e Thailandia, entro la metà del 2100, infatti, vedranno diminuire notevolmente la loro popolazione. La popolazione cinese, la più numerosa al momento, scenderà da 1,4 miliardi di persone a 730 milioni tra 80 anni.
Sempre secondo lo studio, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei tassi di fertilità più bassi, la Terra ospiterà 8,8 miliardi di persone nel 2100, due miliardi in meno rispetto alle attuali proiezioni delle Nazioni Unite. Entro la fine del secolo, la popolazione di ben 183 paesi su 195 sarà al di sotto della soglia di sostituzione necessaria per mantenere i livelli di popolazione.
Eccezioni e conferme
Costituiscono un’eccezione l’Africa subsahariana che triplicherà fino a circa tre miliardi di persone – la sola Nigeria si espanderà a quasi 800 milioni nel 2100 – e l’India che arriverà, invece, ad 1,1 miliardi di abitanti.
Un discorso a parte va fatto per l’Italia che rientra proprio tra i venti paesi più a rischio demografico. Secondo l’ultimo report sulle previsioni demografiche dell’Istat, infatti: “Le previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 mln nel 2030, a 54,1 mln nel 2050 e a 47,6 mln nel 2070”.